- Venghino signore e signori, venghino, venghino, avanti senza timore, venite avanti ed entrate, siamo qui apposta per realizzare i vostri desideri. Dite, di cosa sentite il bisogno? Volete canti e musica? Sarete di sicuro accontentati, o forse è meglio bellissimi giocattoli? Ne troverete a volontà, o forse avete fame? Nessun problema, siamo stati noi ad inventare prelibatezze uniche, meglio ancora se avete sete, vigneti antichi ci danno nettari d’ambrosia. O ancora, forse, avete voglia di fiabe? Ma così è troppo semplice: abbiamo anche quelle. Voglia di correre? Ecco le nostre piste veloci, meglio andar piano? Anche qui non dovete far altro che chiedere, alzarvi sul mondo? Facile anche quello, il vostro desiderio è la conoscenza? Vi faremo conoscere il passato e toccare il futuro…

Ballerina Daliniana

Con un invito così pressante, con promesse così allettanti sbandierate al vento come vessilli, direte voi, come si può resistere ad entrare nella tana del Bianconiglio? Impossibile resistere, lo so, come so che ancora un dubbio vi frena: saranno mantenute le promesse? Per scoprirlo vi basta entrare nel paese delle meraviglie, un paese delle meraviglie all’interno di una piccola città posta ad appena mezz’ora da Bologna, su quella via Emilia fatta costruire dal Console Emilio per collegare Roma all’Adriatico, in quella piana che oggi come allora ha una fiorente agricoltura ma anche alcune tra le più incredibili fabbriche che appassionano il mondo intero.
Mi presento, sono Modena, signore e signori, e, perdonate l’immodestia, vi garantisco: sono tutto questo ed anche di più…

Siete un po’ scettici lo so, allora vi lancio una sfida, vediamo se avrete il coraggio di accettarla: venite e son sicura che ritornerete da me, ancora e ancora e lo direte ai vostri amici che lo diranno ad altri e ci troveremo qui a brindare insieme all’amore, al piacere, alla gioia e all’allegria.
Per iniziare vi parlerò un po’ di me, di come sono nata, di quanti anni ho e cosa ricordo degli anni passati e poi vi farò conoscere i miei tesori, vi presenterò personaggi straordinari che vi racconteranno i loro segreti e vi svelerò ricette segrete delle mie ghiottonerie.

I primi ricordi che ho della mia vita risalgono a quando, in quello che oggi si chiama Ponte S. Ambrogio, c’era solo un piccolo agglomerato di palafitte abitato da uomini delle civiltà delle terramare, villaggi dell’età del bronzo risalenti al periodo tra il 1650 e il 1150 a.C. Il termine terramare deriva dalla terra marma per indicare il terriccio fertile che si ricavava dai depositi archeologici risalenti all’età del bronzo. Questo terriccio formava delle collinette alte fino a 4/5 metri caratteristiche del paesaggio padano.

Durante il 1800 vennero distrutte per recuperare il terriccio che veniva utilizzato come concime da spargere sui prati da dove si ricavava il foraggio, il termine è quindi molto recente ed ha un’origine agronomica che è stato utilizzato da allora in poi per indicare i villaggi dell’età del bronzo dell’area padana non solo nel mio territorio ma anche in quello corrispondente alle attuali province di Cremona, Mantova e Verona. I villaggi terramaricoli erano di forma generalmente quadrangolare, circondati da un fossato e da un terrapieno con, all’interno, le abitazioni costruite su piattaforme lignee. Poco si sa del motivo per cui questa civiltà a un certo punto sia entrata in crisi, si ipotizza che siano stati un insieme di fattori probabilmente legati al clima divenuto più arido, un notevole aumento demografico, lo sfruttamento intensivo del suolo che hanno portato a serie difficoltà nell’approvvigionamento alimentare sfociate poi in conflitti e crisi interne che hanno decretato la fine di un sistema complesso che aveva garantito stabilità e benessere per centinaia di anni.

Marco Emilio Lepido

Cosa sia successo alla popolazione è ancora una domanda aperta, probabilmente si è spostata verso nuovi territori mentre questo, dal VI secolo a.C. in poi, venne colonizzato dagli Etruschi che chiamavano la città Mutina da Mut, “luogo rialzato” con un chiaro riferimento alla struttura dei villaggi terramaricoli. Tre secoli più tardi furono i Galli Boi ad occupare il territorio fino al 200 a.C. quando divenne territorio romano. Mutina, come mi chiamavano allora, diventò presto un’importante colonia romana specialmente dopo la costruzione della Via Emilia su iniziativa del console Emilio Lepido, via che oltre a dare il suo nome alla regione dove sono sorta e a una città a me vicina è ancora oggi un’importante arteria viaria intensamente trafficata. A quell’epoca ne vidi di avvenimenti straordinari dalla sconfitta dei rivoltosi avversari di Silla a quella di Marco Antonio ad opera di Ottaviano Augusto, anche Cicerone parla di me nelle Filippiche elogiandomi come “Firmissimam ed splendidissimam populi Romani coloniam” cioè fedelissima e floridissima colonia romana.

 Zuppiere, piatto e fiasche in rame smaltato e dorato, manifattura veneziana – 1470 ca. – Palazzo dei Musei

Per qualche secolo la mia vita scorse tranquilla in un impero dai confini sicuri poi iniziarono ad arrivare popolazioni da fuori che depredavano il territorio lasciando morte e distruzione noi però avevamo un Santo Protettore, il Vescovo Geminiano proclamato santo subito dopo la sua morte nel 397 d.C. Ricordo un avvenimento in modo particolare quando, per celarmi agli eserciti del re barbaro Attila o forse non erano Unni ma Goti o Longobardi, il nostro Santo Geminiano mi avvolse in una coltre di nebbia che ci nascose agli sguardi avidi dei nemici, purtroppo per noi il vescovo forse dimenticò di far sparire la nebbia passato il pericolo e, spesso, in autunno, ci ritroviamo ancora oggi avvolti in questa specie di coperta bianca, fumosa ed effimera.

 Trittico con Madonna col Bambino tra i santi Lorenzo, Giovanni, Pietro e Paolo, 1400 circa – Palazzo dei Musei

Dal 500 in poi divenni un avamposto longobardo al confine con i possedimenti bizantini ma i secoli successivi non furono un bel periodo, le continue inondazione dei miei amati fiumi, il Secchia e il Panaro e i terremoti portarono i cittadini a spostarsi in un borgo più a ovest, Cittanova, e solo la sede vescovile rimase fedele all’antico locus. Poi arrivò Federico Barbarossa e io mi unii alla Lega Lombarda per combattere l’imperatore ma a causa di beghe tra le famiglie della città mi vidi costretta a rinunciare al sogno di vivere come libero comune per accettare come signore Obizzo II d’Este, poi fu la volta di Borso d’Este e via di seguito tra lotte interne e minacce esterne. Nel 1796 arrivò Napoleone Bonaparte e fu allora che vidi molti dei miei tesori rapinati e mandati oltralpe ad abbellire la Bibliotheque Nationale e il Louvre di Parigi: monete romane, monete greche, monete dei pontefici, cammei e pietre dure e i dipinti del Guercino, di Guido Reni, di Annibale Carracci, Cigoli e Giambologna, esposti al Louvre e mai più restituiti.

 Sala dei Matrimoni – Palazzo Comunale

Dopo la fine dell’impero napoleonico il Congresso di Vienna assegnò il mio territorio a Francesco IV d’Austria-Este, la cosa non ci piacque molto, nel 1831 ci ribellammo ma non riuscimmo nel nostro intento, molti miei figli morirono e tra questi Ciro Menotti, fatto giustiziare dal duca Francesco.

Monumento a Ciro Menotti

Ci riprovammo nel 1848, l’insurrezione costrinse Francesco V d’Austria-Este ad abbandonare la città mentre anche nel resto d’Italia e d’Europa continuavano le sommosse per giungere ad ottenere una Costituzione giusta e liberale. Nel 1860, con un plebiscito popolare, entrammo a far parte del Regno di Sardegna e, quindi d’Italia; dopo le due guerre mondiali e il referendum popolare noi, insieme a tutti gli altri italiani, votammo per la Repubblica: uno stato libero, fondato sul lavoro e sull’uguaglianza dei suoi abitanti senza distinzione di sesso, razza o religione.

Ed ora signori, dopo questa lunga pagina di storia dove ho parlato di me vi presento i miei figli più cari ad iniziare dal Palazzo Comunale.

- Salve Signore e Signori, mi presento: io sono l’edificio che racchiude il cuore civico di questa mia bella città, in realtà non sono un solo palazzo ma un insieme di edifici iniziati a costruire a partire dal 1046, la ristrutturazione avvenuta tra il 1600 e il 1700 mi ha portato a questo aspetto. All’esterno potete ammirare il lungo porticato con le colonne in marmo mentre al mio interno troverete la Sala del fuoco con gli affreschi di Nicolò dell’Abate che raccontano l’assedio di Modena del 44 a.C.

La sala è chiamata del fuoco perché vi era sempre acceso un braciere dal quale ogni cittadino poteva prelevare le braci per accendere il fuoco nel proprio focolare. nella sala del Vecchio Consiglio, risalente al 1600 si trovano gli stalli dei conservatori e il gonfalone dipinto da Ludovico Lana nel 1633 come ringraziamento per la fine della peste.

Dalla piazza si può ammirare anche la torre dell’orologio, l’antica torre civica eretta nel XVI secolo, oggi la chiamano la Torre Mozza in quanto crollò nel 1671 in seguito ad un terremoto.

In una delle sale si trova anche un curioso oggetto che vi sarà raccontato da un illustre scrittore.
- Buondì a tutti, mi presento, il mio nome è Alessandro Tassoni e molti mi ricordano per il mio poema eroicomico "La secchia rapita" scritta nel 1622. Ahimè, a causa della censura della Chiesa la mia storia finì sotto l’occhio indagatore della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa Cattolica ed invero non ne ho mai capito il motivo, lo stesso papa Urbano VIII lo lesse e ne corresse di suo pugno solo pochissime parti così che superò i controlli e poté essere stampato a Venezia nel 1630.

Monumento ad Alessandro Tassoni

Il poema inizia così:
“Vorrei cantar quel memorando sdegno
ch’infiammò già ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno,
che tolsero a i Petroni (Bolognesi) i Gemignani (Modenesi).
(…)
Ma la Secchia fu subito serrata
ne la torre maggior dove ancor stassi,
in alto per trofeo posta e legata
con una gran catena a’ curvi sassi;
s’entra per cinque porte ov’è guardata
e non è cavalier che di là passi né pellegrin di conto,
il qual non voglia
veder sì degna e gloriosa spoglia”
(Vorrei cantare quello sdegno che provocò nei fieri petti umani un infelice e vile secchio di legno che fu rubato ai Bolognesi dai Modenesi.
(…)
Ma la secchia fu subito chiusa nella torre maggiore dove ancora sta, posta in alto come trofeo e legata con una catena alle pareti; vi si entra attraverso cinque porte da dove viene sorvegliata e non c’è cavaliere che passi da Modena né pellegrino importante che non voglia vedere questo degno e glorioso trofeo)

La secchia rapita – Camerino dei Confirmati – Palazzo Comunale

Di cosa parla questa mia storia buffa? Ma di guerra e di amore come ogni poema che si rispetti, essa racconta la storia delle lotte tra i comuni di Bologna e Modena al tempo di Federico II di Svevia tra i modenesi ghibellini e i guelfi bolognesi che accaddero veramente negli anni precedenti al 1325 e che videro numerose scaramucce prima di sfociare nella battaglia di Zeppolino nel più grande scontro che il Medioevo ricordi. Di fatto ecco cosa accadde, nel 1298 i bolognesi invasero le terre di Bazzano e Savignano sottraendole ai modenesi con l’appoggio di Papa Bonifacio VIII, il motivo di tale atto era semplice, Bologna aveva avuto un notevole incremento demografico grazie alla fama della sua Università, Modena si trovava in difficoltà a cause delle lotte interne per la successione tra i figli di Obizzo d’Este, prevalse Azzo VIII che, per dare sfoggio della sua forza, sfidò Bologna.

Sala degli Arazzi - Palazzo Comunale

La battaglia fu violenta e cruenta, vinsero i modenesi nonostante l’inferiorità numerica ma questa vittoria non portò a un cambiamento nell’assetto territoriale perché dopo qualche giorno i modenesi tornarono a casa senza assediare la città nemica portandosi dietro come trofeo solo una secchia rubata in un pozzo fuori Porta San Felice. Nel mio poema mi son permesso qualche licenza poetica, ho aggiunto qualche divinità, Apollo e Minerva a fianco di Bologna, Marte, Venere e Bacco con Modena.

 Soffitto della Sala del Vecchio Consiglio – Palazzo Comunale

Anche re Enzo, figlio dell’imperatore Federico II parteggia per i modenesi e in più partecipa agli scontri un esercito di donne capitanato da Renoppia. Nel poema troverete battaglie, duelli, tregue e tornei, episodi buffi e burle ben riuscite con protagonista spesso il conte di Culagna che si innamora di Renoppia, sfida a duello Melindo e lo vince realizzando la profezia che voleva come vincitore il più debole e vile, tenta di avvelenare la moglie ma lei scambia i piatti e il nostro conte beve la pozione che in realtà non è un veleno ma un lassativo e un emetico che lo costringe a confessare la verità su quello che aveva combinato.

 Capitello del Duomo

Alla fine la guerra si conclude con le trattative affidate ad un legato pontificio che stabiliscono che i bolognesi possono tenersi re Enzo fatto prigioniero mentre i modenesi si terranno la secchia. Da allora la battaglia viene ricordata come “La battaglia della Secchia Rapita” e la stessa secchia è conservata nel Camerino dei Confirmati.
Sperando di avervi divertito con la mia storia vi saluto e mi faccio da parte per dare la parola a La Bonissima.

- Buongiorno a voi signore e signori cari, perdonate se vi parlo da quassù ma non mi è dato di scendere tra voi come quando, appena eretta nel 1268, ero posta proprio al centro di Piazza Grande, poi fui issata sopra il portico del Palazzo Comunale all’angolo con via Castellaro. Di me non so molto, in effetti sono una statua quindi non ricordo come fui fatta, da chi e per chi, posso dire solo quello che sentii raccontare negli anni. Alcuni dicono che io fui scolpita per ricordare Madonna Bona, una cortese gentildonna di questa bella città che generosamente provvedeva ai bisogni dei più poveri, altri invece dicono che ero il simbolo della Buona stima cioè della precisione in fatto di misure e compravendite, forse avevo in mano una bilancia che ora non ho più e ai miei piedi vi sono ancora incise le antiche misure mercantili bolognesi. Se posso osare, a parer mio, preferirei essere qui per ricordare Madonna Bona.

- Signore e Signori miei, sono di nuovo io, Modena, a chiedere la vostra attenzione per raccontarvi di questa pietra posta qui davanti al Palazzo Comunale, essa non è in grado di parlare perché è un sasso anche se, secondo me, è solo timida e forse si vergogna. È chiamata la Preda Ringadora, un grosso masso in marmo forse di origine romana.

Nel medioevo era utilizzata come palco per gli oratori, per le sentenze di morte e per esporre i cadaveri senza nome per farli identificare. Sandro Bellei, nel suo dizionario enciclopedico del dialetto modenese “A m’arcord” racconta che veniva utilizzata per punire i debitori che non saldavano i loro debiti, costoro “venivano rapati a zero con in testa un cappello con una C che significava “cedo bonis” (svendo tutti i miei beni) e costretti a stare sulla pietra per tre sabati consecutivi nei giorni di mercato. Erano costretti anche a fare tre giri della piazza e ogni volta che passavano davanti alla pietra irrorata di trementina dovevano denudarsi e fregarvi contro le terga. In questo modo i loro debiti venivano annullati”.
Ma ora ecco farsi avanti Palazzo Ducale, lascio a lui la parola.

- Eccellentissimi ospiti, vi do il benvenuto in questa bella terra e, con gran piacere vi racconto la mia storia. Era il 1634, in piena epoca barocca, ed il duca Francesco d’Este I volle che si iniziasse la mia costruzione facendo di me, non per vantarmi, una delle più prestigiose regge europee per grandezza e fasto. Dove sorgo io prima si trovava il castello fatto erigere da Obizzo d’Este nel 1291 ma ai Signori non sembrava decoroso alloggiare la corte del ducato Estense nel castello medioevale quindi chiamarono l’architetto Bartolomeo Avanzini che, con il contributo di Girolamo Rainaldi, Gian Lorenzo Bernini che progettò lo scalone e i finestroni alla sommità della torre centrale,

Francesco Borromini che progettò le finestre binarie,

e Pietro da Cortona, fece di me una corte nobile e famosa. Già la facciata giustifica tanta fama, tre piani di finestre appaiate con un coronamento di balaustre ornate da statue, all’interno il cortile d’onore porta allo Scalone d’Onore ornato da statue romane che conduce al Loggiato da cui si passa alle sale dell’Appartamento di Stato. Il 25 giugno 1805, dopo essere stati incoronati sovrani del Regno d’Italia, soggiornarono nelle mie sale Napoleone Bonaparte e la moglie Giuseppina Beauharnais, restarono qui solo un giorno ma fu sufficiente per scegliere e portarsi via molti dei tesori che custodivo. Dopo il congresso di Vienna Modena tornò agli Este che lasciarono la città dopo i moti del ’48. Con l’unità d’Italia passai sotto il controllo della Casa Reale dei Savoia e da quel momento ebbe inizio la mia seconda vita; il 4 maggio 1860 il re Vittorio Emanuele II venne in visita nella mia città e fece dono di questo edificio alla Scuola Militare di Fanteria aperta dal generale Manfredo Fanti.

Le due guerre mondiali mi videro vittima di danneggiamenti e spoliazioni ma, l’8 dicembre 1947, il Presidente della Repubblica Italiana fece di me la sede dell’Accademia Militare, un istituto di formazione militare a carattere universitario che forma i futuri ufficiali dell’Esercito Italiano e dell’Arma dei Carabinieri.

 Capitello – interno del Duomo

Ora non sto a raccontarvi tutto quello che ci sta dietro la decisione della creazione di un’Accademia Militare, vi basti sapere che potete venire a vedere di persona la Sala Museale che corrisponde all’ Appartamento privato dei duchi estensi e l’Appartamento di Stato che era l’appartamento di rappresentanza, ricordatevi di prenotare perché le visite, solo guidate. sono consentite solo il sabato e la domenica perché nelle mie stanze vivono, studiano e lavorano centinaia di giovani che non devono essere disturbati.

Capitello – interno del Duomo

Prima di salutarvi voglio confidarvi un segreto, io che ho visto danzare nelle mie sale Principi e duchi, io che ho sentito tramare tradimenti e organizzare congiure non sono mai stato così felice come da quando ospito tanta gioventù nelle mie stanze. Si lo so, a volte sono turbolenti, un po’ scapestrati specialmente quando escono la sera ma li capisco, sono ragazzi ed è una gioia vederli vivere con tanta passione questa scelta di vita che hanno fatto, lo so, lo so, poi andranno nel mondo e forse saranno chiamati a combattere ma io spero sempre che il loro servizio sia a beneficio della pace, della protezione dei più deboli e al mantenimento dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione.

Foto con dedica dei genitori di Francesco Baracca a Enzo Ferrari

-  Vi ho fatti divertire o magari commuovere? Allora è giunto il momento di presentarvi un altro personaggio che ha dato lustro e vanto alla città di Modena, ecco a voi, gentili ospiti, il grande tenore Luciano Pavarotti.

- Buongiorno a tutti, grazie degli applausi, troppo buoni, grazie ancora ma ora un po’ di silenzio per favore, non ho molto tempo per parlarvi di me e della mia passione. Nacqui a Modena il 12 ottobre 1935 e qui mi sono spento all’età di 72 anni, la passione per la musica lirica mi fu trasmessa da mio padre, Fernando Pavarotti, un fornaio dell’Arma dei Carabinieri cantante amatoriale. Non ho mai frequentato il conservatorio perché volevo diventare insegnante di educazione fisica, per due anni ho anche insegnato nella scuola primaria ma ho continuato i miei studi di canto con il tenore Arrigo Pola prima e con il maestro Ettore Campogalliani dopo.

 Teatro di Modena

Non starò a raccontare della mia carriera di tenore vi dico solo che ho interpretato la maggior parte delle opere liriche sia di autori stranieri che italiani, un personaggio che ho amato tanto è stato Rodolfo de La Bohème di Puccini ma anche tutti gli altri che mi hanno dato gloria e fama mondiale. Mi piace pensare di aver portato tanti spettatori ad avvicinarsi nuovamente alla musica lirica con il gruppo dei Tre tenori, come ci chiamavano, con i miei amici José Carreras e Placido Domingo e con i concerti dell’evento musicale “Pavarotti e Friends” tenuti negli stadi e nei parchi di tutto il mondo dove ho duettato con più di cento artisti di fama internazionale per raccogliere fondi per iniziative di sostegno e sviluppo nelle zone povere del mondo, specialmente a favore dei bambini. Modena mi ha fatto il grande onore di intitolarmi il suo Teatro Comunale e se ne avete piacere potete visitare, nella campagna modenese, la mia casa dove ho vissuto gli ultimi anni della mia vita insieme alla mia famiglia, accogliendo gli amici e insegnando a giovani cantanti.

Tempio monumentale in memoria dei 7237 Caduti Modenesi della Prima Guerra Mondiale 

- Da un mio grande figlio passo a dare la parola ad un luogo speciale dove si è formato un altro grande personaggio modenese del quale vi parlerà il Museo Enzo Ferrari di Modena.

- Scusate se mi presento in questo modo un po’ dimesso ma qui dove vi trovate ora c’era una volta l’officina di proprietà del papà di Enzino Ferrari, io che l’ho visto nascere posso ben permettermi di chiamarlo Enzino quel discolo che viveva di motori e che ne sapeva tanto quanto i miei meccanici.
Il mio ragazzo nacque in questa casa il 20 febbraio 1898 anche se in realtà nacque il 18 ma, a causa di una nevicata, fu registrato il 20, io mi ricordo la nevicata ma non so il giorno esatto della sua nascita.

Mentre il fratello maggiore Alfredo, detto Dino, amava studiare Enzo preferiva lavorare nell’officina del suo papà che invece avrebbe voluto che diventasse ingegnere ma lui aveva altro per la testa. Enzo desiderava diventare tenore d’operetta, giornalista sportivo, pilota automobilistico…, alla fine vinse la passione per i motori dopo che il padre comprò la prima automobile sulla quale Enzo imparò a guidare.

 Ferrari 250 GT - 1962

Nel 1915 morì il padre, l’anno seguente morì anche il fratello Dino gettando nella tristezza tutta la casa, a 18 anni Enzo venne assunto come istruttore presso l’Officina Pompieri di Modena. Dopo una seria malattia dalla quale riuscì a guarire si recò a Torino per cercare lavoro alla FIAT ma non fu assunto. Avvilito e triste per la morte dei suoi cari non sapeva cosa fare, fu aiutato dall’appoggio di una sartina di 19 anni che lo incoraggiò e con la quale si fidanzò.

Da Torino, dopo qualche tempo, si trasferì a Milano dove trovò un ingaggio come assistente al collaudo in una piccola impresa meccanica. Nel 1920 cominciò a correre con l’Alfa Romeo e finalmente poté sposarsi con la sua Laura. Da questo momento in poi inizia la sua fiaba, nel 1923, anno del suo matrimonio, vinse la prima edizione del gran premio del circuito del Savio, frazione di Ravenna.

 Ferrari F1-90

Fu in quell’occasione che la contessa Paolini de Biancoli, madre dell’aviatore eroe della prima guerra mondiale gli consegnò il simbolo che Francesco Baracca portava sulla carlinga, un cavallino rampante, dicendogli di metterlo sulle sue macchine perché gli avrebbe portato fortuna, Enzo accettò l’offerta della madre di Baracca e a partire dal 1932 il cavallino rampante su fondo giallo, colore della città di Modena, apparve sulle carrozzerie della Scuderia Ferrari. Inutile dire che da quel momento in poi ogni Ferrari che uscì dalla fabbrica divenne un simbolo di potenza, eleganza, bellezza.

 Ferrari GTO - 1984

Se non ci credete entrate nel museo ed ammirate alcune delle più belle macchine che siano mai state costruite al mondo.

 Ferrari Enzo 2002

- Per restare in tema di motori sembra che la mia terra dia forza ed energia a dei grandi sognatori che amano la velocità perché in questo mio angolo di Emilia oltre alla Ferrari è nata la Maserati altro marchio diventato uno status symbol.

A questo punto io farei una bella sosta per riposarvi e recuperare energia, potete pranzare in una delle tante trattorie ancora a conduzione familiare o in raffinati ristoranti dove troverete quei piatti che sono nati qui ma che poi sono diventati patrimonio italiano.

La nostra cucina, principalmente a base di suino, è molto antica, citata già in alcuni libri del 1300, lo stesso Boccaccio, nel Decameron parla di tortellini e parmigiano reggiano. Volete cominciare con un antipasto di tigelle e gnocco fritto accompagnati da un bel tagliere di affettati nostrani?

O preferite un bel piatto fumante di tortellini in brodo?

Abbiamo anche tagliatelle con il ragù, maccheroni al torchio o al pettine o la zuppa di spinaci alla modenese. Un’altra specialità sono il nostro zampone e il cotechino spesso con contorno di lenticchie che potete accompagnare con il Lambrusco Modena o il Sorbara.

Straccetti al Lambrusco con crema di parmigiano

Per i dolci poi ci possiamo sbizzarrire: zuppa inglese, torta di riso, torta di tagliatelle, bensone.

 Zuppa inglese

Ma la nostra specialità più profumata e più conosciuta è l’Aceto Balsamico di Modena, un condimento tradizionale prodotto con mosti cotti di uva provenienti esclusivamente dalle province di Modena e Reggio Emilia, fermentati, acetificati ed invecchiati per almeno 12 anni.

Probabilmente noto già in età romana ne troviamo traccia nei documenti a partire dal 1046, considerato un prodotto raffinato destinato solo alle famiglie dei più ricchi veniva inviato come omaggio presso le corti straniere come fece il duca Ercole III che ne inviò un flacone a Francoforte come dono per l’incoronazione di Francesco II d’Austria, non sappiamo se l’imperatore gradì il regalo.

Se vi siete ripresi dalle fatiche della mattinata potete, magari, fare un giro nel mercato Albinelli progettato nei primi decenni del ‘900 ed inaugurato il 28 ottobre 1931, è un’elegante costruzione attrezzata con banchi in marmo per il pesce fornito di acqua corrente ad ogni postazione con particolare attenzione all’igiene.

Al centro si trova la fontana della “Fanciullina con canestro di frutta “ del Graziosi.

- E ora tocca a me presentarmi, mi chiamano il Palazzo dei Musei e mi trovate a pochi minuti a piedi da Piazza Grande. Fu il duca Francesco III d’Este a volere, dove un tempo c’era l’antico Convento degli Agostiniani e l’Arsenale, la mia costruzione da adibire ad albergo per i poveri con finalità educative ed assistenziali. Nel 1788 il duca Ercole III d’Este mi trasformò in Albergo delle Arti per accogliervi quelle attività che rischiavano di scomparire quali la lavorazione delle stoffe, in seguito fui occupato dalle truppe napoleoniche e poi adibito a così tante funzioni che non ricordo più. Dopo l’Unità d’Italia il Governo italiano e l’Arciduca Francesco V d’Este firmarono un accordo per collocare al mio interno i Musei Estensi in modo da cedere il Palazzo Ducale alla Scuola Militare. Nel 1881 il comune acquistò il mio edificio per collocarvi la Biblioteca Civica d’Arte, l’Archivio Comunale e il Museo Civico di Modena e diventai, così, un importante polo museale.
Tra le tante opere che conservo nelle mie sale mi piace parlarvi di alcune tre le mie preferite, cominciamo dal Ritratto di Francesco I d’Este di Gian Lorenzo Bernini.

Il superbo artista oltre alle meraviglie architettoniche ci ha lascito una serie di ritratti che riproducono fedelmente le sembianze dei modelli. A prima vista quello che colpisce di più in questo busto è la capigliatura del duca, una parrucca dai riccioli fluenti che richiamato le onde marine ma il tocco da maestro è in quel colletto così magistralmente lavorato da sembrare davvero prezioso pizzo.

Nella sezione medievale colpisce una Madonna col Bambino detta “Madonna dei Cattania” proveniente, probabilmente, dalla lunetta del portone principale della chiesa di Santa Maria in Castello di Carpi,

deliziosa la Madonna col Bambino in trono fra angeli di Simone dei Crocifissi,

realizzata negli ultimi anni del 1300, la Madonna con un abito blu decorato in oro avvolta in un manto bianco bordato da una fascia dorata guarda assorta il Figlio che con mossa birichina tocca il volto di un angelo quasi a dirgli di tacere mentre indica una figura,

probabilmente il committente che doveva trovarsi nell’anta destra del piccolo altare, intorno tutta una schiera di angeli, i due in basso che suonano, gli altri in adorazione di Maria e Gesù, sulla pedana del trono la scritta in latino in cui il pittore dichiara, orgogliosamente, la paternità dell’opera “Simon fecit hoc opus" (Simone fece quest’opera).

Firma del pittore e particolare della decorazione dell'abito di Maria

In una delle sale troviamo un manufatto italiano risalente al 1470-1479 circa rarissimo, ne esistono solo venti esemplari in tutto il mondo: la sella da parata del duca Ercole I d’Este in legno e osso decorata con temi amorosi e cavallereschi sull’arcione anteriore, su quello posteriore con storie di San Giorgio e di Ercole con riferimento al duca del quale viene riportato anche il motto “Deus fortitudo mea” (Dio è la mia forza”)

Andando avanti troviamo la fronte di un cassone nuziale dove Apollonio di Giovanni ha riprodotto la storia di Griselda, ultima novella del Decamerone di Giovanni Boccaccio, all’epoca la fedele e paziente moglie di Gualtieri, marchese di Saluzzo, era portata a modello delle virtù che una sposa doveva possedere.

Del 1400 sono le sculture classiche miniaturizzate realizzate proprio come oggetti da collezione per ricchi clienti, qui troviamo un Ercole a cavallo in bronzo di Bertoldo di Giovanni allievo di Donatello e futuro maestro di Michelangelo.

Una delle statue è quella detta lo Spinario, raffigura un giovane intento a togliersi una spina da un piede, a lungo ritenuta una copia rinascimentale dello Spinario dei Musei Capitolini a Roma potrebbe essere invece una statua originale recuperata nel 1566 sul colle Palatino.

Risale alla fine del 1500 questa arpa doppia o Arpa Estense opera di un liutaio della cerchia di Giovan Battista Giacomelli

Il duca Ercole III amava molto quest’opera al punto da tenerla nel proprio appartamento privato e davvero non si può dargli torto nell’ammirare questo Gesù Crocifisso di Guido Reni in cui il Cristo si staglia in una luce argentea con gli occhi rivolti al cielo mentre un lembo della fascia che gli avvolge i fianchi sembra già trasportata verso l’alto.

Un altro strumento affascinante è questo clavicembalo in marmo intarsiato, legno, metallo con residui di pigmento rosso che facevano sembrare il marmo un tessuto sgargiante, un tempo era possibile suonarlo come un clavicembalo tradizionale.

Clavicembalo in marmo intarsiato - particolare

Ed eccoci ora a Tintoretto, nel 1541 Vittore Pisani commissionò al giovane artista le quattordici tavole per decorare il soffitto della stanza da letto nel palazzo di famiglia a Venezia in occasione del suo matrimonio con Paolina Foscari.

I soggetti riprendono le storie raccontante nelle Metamorfosi di Ovidio quindi troviamo Giove trasformato in toro che rapisce la principessa fenicia Europa

e poi… ho capito, ho capito, sto parlando troppo ma lo sapete quando inizio a raccontare dei tesori che custodisco non riesco a fermarmi. Grazie signore e signori dell’attenzione, se vi ho incuriositi vi basta venirmi a trovare per trascorrere insieme un bel pomeriggio.
- Ed ora, miei cari siamo arrivati all’ultimo intervento, ecco a voi la Cattedrale di San Geminiano.

- Buon pomeriggio gentilissimi ospiti, è con vero piacere che vi accompagnerò in quest’ultimo momento della vostra visita. Come ha detto la mia città sono la Cattedrale di San Geminiano; dove fu sepolto il santo del quale prendo il nome furono erette due chiese a partire dal V secolo.

Bassorilievo di Wiligelmo, la Creazione dell'uomo, della donna e peccato originale

A metà dell’XI secolo la prima chiesa venne sostituita da una più grande che però minacciava di crollare già verso la fine del secolo allora i modenesi decisero di costruirne una nuova ma per controversie politiche la sede del vescovo rimase vacante per diversi anni perché il papa non riusciva a trovare un candidato che piacesse sia al popolo che all’imperatore.

Bassorilievo di Wiligelmo - Rimprovero, Cacciata dal Paradiso Terrestre e Lavoro di Adamo ed Eva

Stanchi di questo tira e molla i modenesi decisero di iniziare la nuova cattedrale così che il vescovo Dodone, nominato nel 1100, trovò il cantiere del duomo già aperto e questo la dice lunga sul desiderio di indipendenza dei miei cittadini.
Nella mia cripta si trovano le reliquie del santo conservate in un’urna del IV secolo,

ogni anno per la festa del nostro patrono il sarcofago viene aperto e le spoglie del santo, rivestite dagli abiti vescovili, vengono esposte alla devozione dei fedeli. Il 26 maggio 1099 fu fondata la nuova cattedrale come attesta la lapide di Lanfranco, “architetto famoso per l’ingegno, sapiente ed esperto direttore e maestro di questa costruzione”.

Alla costruzione collaborarono un gruppo di muratori e lapicidi, detti Maestri comacini, provenienti dal lago di Como e lo scultore Wiligelmo. La costruzione fu terminata rapidamente e nel 1106 si poté traslare il corpo di San Geminiano dalla vecchia chiesa alla nuova cripta. Nel 1117 un terribile terremoto sconvolse l’area padana ma io non subii nessun danno e per questo la mia struttura fu presa da esempio per la costruzione o ristrutturazione delle cattedrali di Ferrara, Piacenza, Parma e l’abbazia di Nonantola.

La mia architettura è abbastanza lineare, sulla facciata principale il portale maggiore è fiancheggiato da due leoni sovrastati da una colonna che rappresenta l’uomo a sottolineare che l’uomo è un essere intermedio a metà strada tra l’animale e Dio rappresentato dal piccolo portico posto sul portale che raffigura la Trinità. Sul fianco meridionale troviamo la Porta Regia

la Porta dei Principi e un pulpito rinascimentale costruito per impartire al popolo la benedizione con il braccio di San Geminiano.

La torre campanaria fu completata nel 1319, ha sei piani a base quadrata e le due ringhiere poste sulla sommità ottagonale le hanno guadagnato il nome di Ghirlandina. Fino a poco tempo fa conservava al suo interno la Secchia Rapita di cui sapete già la storia, poi fu deciso di trasferire il trofeo duramente conquistato nel Camerino dei Confirmati nel Palazzo Comunale mentre nella Ghirlandina ne è conservata una copia.

All’interno le tre navate sono divise da archi poggiati su pilastri alternati a colonne.

 Agostino di Duccio - San Geminiano salva un fanciullo caduto dalla Ghirlandina afferrandolo per i capelli

La cripta è una piccola chiesa a nove navate,

belle le colonne con i capitelli tutti diversi per forma e dimensioni decorati in stele corinzio o con motivi vegetali, su sette si trovano sirene bicaudate, sfingi, montoni, i simboli dei quatto evangelisti, leone toro, angelo e aquila, uomini che escono dalla vegetazione e aquile ad ali spiegate, oltre al sepolcro del santo vescovo c’è un presepe in terracotta detto anche Madonna della pappa di Guido Mazzoni del 1480.

Ma è inutile che vi stia a spiegare tutte le opere d’arte contenute al mio interno, la cosa migliore è venire a vederle di persona e vi assicuro che vi incanterete ad ammirare sia l’architettura che le statue e i dipinti, a me piace guardarmi intorno e apprezzare il lavoro di tanti maestri compresi i Maestri campionesi provenienti da Campione d’Italia, un’enclave italiana situata sul Lago di Lugano, in Svizzera,

Serafino de’ Serafini – Polittico con l’Incoronazione della Vergine tra i santi Nicola e Cristoforo, Geminiano e Antonio Abate, la Crocifissione e l’Annunciazione 

Mi piace che lo stile romanico sia stato rispettato così che rimango l’unica basilica rimasta interamente in questo stile ma quello che mi piace di più è vedere le persone che entrano dentro e si guardano intorno incantate, mi piace il sospiro dei turisti e le tante foto che mi scattano.

Abside centrale

Mi piacciono le funzioni specialmente se accompagnate dal suono dei miei organi, mi mettono tristezza i funerali ma non per il defunto, Cristo ha detto che chi crede in lui risorgerà a nuova vita ma per i parenti e gli amici che piangono l’assenza del loro caro, però ci sono anche cerimonie gioiose come i matrimoni ed è così bello il momento in cui gli sposi si scambiano le promesse di amore, rispetto e fedeltà perché io lo so che in quel momento sono davvero convinti che la loro unione sarà per la vita,

 Presbiterio

ma quelle che adoro sono i battesimi, mi piacciono tutti: i bambini che strillano così forte da farsi udire in tutta la chiesa, quelli che singhiozzano piano, quelli che dormono beati e, i miei preferiti, quelli che si guardano intorno con gli occhioni sgranati come se capissero che stanno ammirando un luogo magico.

- Signore e signori, il nostro tour è finito, siete rimasti soddisfatti? Spero di sì come spero di rivedervi ancora perché Modena è tutto questo ma è anche molto di più; aggiungo solo un’ultima cosa: il mio Duomo è inserito nell’Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa Transoromanica una certificazione rilasciata dal Consiglio d’Europa a reti che promuovono la cultura, la storia e la memoria europea. Dal 1997 il Duomo, la Torre Civica e Piazza Grande sono entrati a far parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO questo vuol dire che noi di Modena abbiamo l’obbligo di conservare e preservare questi monumenti meravigliosi per le generazioni future il che mi porta ad una considerazione.

Se nel Medioevo, considerato il periodo più oscurantista d’Europa, uomini di straordinario ingegno e capacità sono riusciti a costruire tutto questo che ci circonda noi, che siamo entrati così allegramente nel terzo millennio, abbiamo le capacità, gli strumenti e le idee per far sì che tutto questo sopravviva intatto ancora per tanti altri millenni, resta da controllare che ci sia anche il desiderio di mantenere questo impegno.
Io, Modena, e i miei cittadini sentiamo questo desiderio ogni volta che entriamo nella piazza, chiediamo a tutti i nostri visitatori di assumersi con noi questo impegno perché insieme possiamo salvare un patrimonio che appartiene ai nostri figli, ai nostri nipoti e tutti quelli che verranno nei secoli a venire.
E adesso scappo a bordo di una delle mie Ferrari… e come, se no? Arrivederci a presto, vi aspetto tutti!

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