Una cartolina da Gradara, la Rocca di Paolo e Francesca… forse

Aveva sedici anni, già donna nel corpo ma fanciulla nel cuore, sognava romantici cavalieri che sarebbero giunti a lei da terre lontane per portarla in un giardino tappezzato di erba e fragrante di fiori ed un giorno il sogno divenne realtà.

Percorso pedonale

Giunse da lontano forse su un bianco destriero, le venne indicato e le fu detto che, se voleva, lui sarebbe stato il suo sposo, quel giovane dai ricci capelli e dagli occhi ridenti l’avrebbe portata con sé per fare di lei la sua adorata regina e lei aveva accettato, aveva detto di sì e nei suoi occhi si erano accese le stelle e sui suoi lunghi capelli aveva brillato il sole.
Il bel cavaliere la portò con sé come sua sposa e la sera fu condotta in una camera buia dove la raggiunse colui che colse il fiore della sua verginità e la rese donna e lei, per tutta la notte, ebbe davanti i suoi occhi ridenti e i ricci capelli; quando, al mattino, i primi raggi ad oriente illuminarono il talamo nuziale vide l’uomo che l’aveva posseduta ma non era colui che l’aveva ammaliata con il suo sorriso.
Non c’erano sorrisi sul suo volto ma turpe soddisfazione, gli occhi non erano ridenti ma cupi, la schiena curva mentre trascinava la gamba più corta.

Percorso pedonale

La fanciulla, che non era più tale, urlò ed urlò così forte che le mura del castello ne tremarono ma non crollarono a seppellirla per liberarla da quell’orrore. Le stelle nei suoi occhi si spensero ed il sole non brillò più sulle sue chiome, non ci furono più risate e scherzi, non più giochi e nemmeno più sogni. A salvarla da tanta disperazione giunse a lei il giovane che l’aveva incantata mentre ordiva il tradimento, lei ormai sapeva il suo nome, sapeva che era fratello di colui che, ormai, era il suo signore e padrone e da lui inviato per sposarla per procura.

Torre illuminata

Il bel cognato, forse pentito dell’inganno, iniziò a confortarla con piccoli doni, omaggi gentili e dolci sorrisi. Uno di questi doni le fu così gradito che divenne il suo prediletto e spesso il giovane le faceva compagnia ed insieme leggevano la storia del prode Lancillotto e della bella Ginevra innamorati a dispetto del di lei sposo e mentre la storia d’amore si snodava sotto i loro occhi ecco che i due si guardarono e rimasero avvinti di un amore così potente che neanche la morte avrebbe distrutto.

Cinta muraria

Questa è la storia che le guide raccontano in modo più o meno colorito ai turisti e alle scolaresche in visita in uno dei tanti castelli posti sui poggi delle Marche, ed esattamente al castello di Gradara posto a pochi km da Pesaro, Urbino, Cattolica, Rimini e San Marino, su un colle che domina le dolci colline marchigiane e rimira il mare.

Panorama con vista sull’Adriatico

Gradara deriva il suo nome forse da terra a gradini o terra dall’aria grata o forse, più probabilmente, da terra di creta, terra da vasi abbondante nella zona che veniva utilizzata per la realizzazione di terracotta a uso agricolo.
In epoca romana il territorio intorno a Gradara era coltivato a vigneti, uliveti e cereali. La rocca, posta sul percorso della via consiliare Flaminia che portava da Roma a Rimini e vicina al porto di Focara, oggi Vallugola, grazie alla posizione e alla ricchezza del territorio ben presto vide sorgere nei suoi dintorni numerose ville patrizie. Intorno all’anno mille esistevano in zona già quattro castelli possedimenti dei vescovi di Ravenna.

Porta nuova, aperta molto tempo dopo la costruzione delle mura

Il castello di Gradara fu costruito intorno al XII secolo, all’inizio era una costruzione molto semplice: una torre quadrangolare sulla cima del colle con un recinto alla base, la cinta muraria non esisteva all’epoca, rimane di quella costruzione il mastio che alla base conserva ancora pietre di epoca romana.
Nel corso del XIII secolo il castello di Gradara divenne sempre più importante e nel 1283 entrò nei possedimenti di Malatesta da Verucchio, detto Mastin Vecchio, dalla fama di un vero e proprio mastino e dalla lunga vita, campò fino a 100 anni, il ché, all’epoca, aveva del miracoloso, e poi concessa al figlio Malatestino e di figlio in figlio rimase nelle mani dei Malatesti fino al XV secolo.
I signori del luogo apportarono importanti migliorie alla loro signoria a cominciare dalla cinta muraria con 13 torri a protezione dell’abitato sorto ai piedi della rocca.

Cinta muraria

Nel 1445 Galeazzo Malatesti, signore di Pesaro e di Gradara vendette Pesaro e il suo territorio a Francesco e Alessandro Sforza per 20.000 fiorini d’oro.
La Rocca di Gradara, ambita per la posizione strategica tra Emilia Romagna e Marche, era in quel periodo in mano a Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini. Francesco Sforza, nonostante l’avesse comprata, dovette combattere per conquistare il castello, durante l’assedio durato 43 giorni, dopo aver messo a ferro e fuoco i dintorni del castello e aver colpito, con le bombarde, con proiettili di pietra, le fortificazioni, dopo 446 proiettili, fu costretto ad arrendersi e a levare le tende per aver esaurito la polvere da sparo.

Stemma della famiglia Sforza

A distanza di qualche anno Federico da Montefeltro, signore di Urbino, dopo aver sconfitto Sigismondo Pandolfo, assediò Gradara in nome di Papa Pio II e in soli 4 giorni conquistò il castello che fu restituito agli Sforza di Pesaro.

Ritratto di Federico da Montefeltro - Piero della Francesca - Uffizi

Alessandro Sforza ed, in seguito, il nipote Giovanni si dedicarono al restauro e all’abbellimento del castello e nel 1493 Giovanni sposò in seconde nozze la quattordicenne Lucrezia Borgia figlia di Papa Alessandro VI. Il matrimonio durò pochi anni, fu annullato perché era cambiata la politica papale, fu il papa stesso ad ordinare al fratello di Lucrezia, Cesare Borgia, duca di Valentinois, di invadere la signoria pesarese degli Sforza.

La Rocca vista dal camminamento di ronda

Con la fine della signoria Sforzesca Gradara entra a far parte del Ducato di Urbino sotto i Della Rovere, nel 1631 diviene proprietà dello Stato Pontificio fino alla proclamazione dell’Unità d’Italia.
Nel 1920 l’ingegnere Umberto Zanvettori acquistò la Rocca di Gradara per tre milioni di lire e finanziò il restauro del castello e della cinta muraria. Nel 1928 l’ingegnere vendette la rocca allo Stato Italiano con diritto di usufrutto alla sua vedova, Alberta Porta Natale, fino alla morte avvenuta nel 1983.

 

Cinta muraria

Gradara è composta dalla Rocca cinta da mura e da una seconda cinta di mura esterna con 13 torri.
La cinta muraria esterna ha una lunghezza di quasi 800 metri, è quasi completamente percorribile ed offre suggestivi scorci sia delle dolci colline intorno che del borgo.

Insegna del camminamento

Tra le due cinte murarie si adagia il borgo composto in massima parte di alberghi, ristoranti e negozi di souvenirs. Vicino a Porta Nuova è possibile ammirare il fregio con una E applicato su una parete esterna di un edificio che attesterebbe la permanenza nella casa di Eugène de Beauharnais, figlio di Joséphine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte.

Emblema di Eugène de Beauharnais

L’ingegnere Umberto, nel restaurare anche la cinta muraria interna e la Rocca, tentò di ricreare uno stile tipico delle costruzioni del Medioevo e del Rinascimento acquistando sul mercato antiquario numerosi reperti storici e cercando di rispettare la costruzione originaria fino dove possibile tranne che per i bagni ai quali si rifiutò di rinunciare chiedendo che venissero costruiti nell’intercapedine tra i muri esterni e le pareti interne del castello.

Ponte levatoio

Per visitare il castello bisogna affrontare la salita dalla porta posta alla base della Torre dell’Orologio, entrare nella cinta interna e raggiungere l’unico ponte levatoio rimasto attraverso il quale si accede al cortile d’onore dove convivono parti risalenti ai Malatesta e altre che risalgono al periodo degli Sforza, come si legge anche sul portale d’Onore.

Portale d’onore con inciso il nome di Giovanni Sforza

Dal cortile si accede direttamente alla Sala di Tortura o Prigione, collocata alla base del mastio, ed è quella che più di ogni altro ambiente richiama alla mente l’originale struttura militare della Rocca, oltre alla cisterna che forniva acqua alla guarnigione che, probabilmente, risale alla costruzione originale, sono stati aggiunti da Zanvettori alcuni strumenti di tortura, giusto per fare un po’ di scena.

Sala delle torture

Salendo una scala di legno si giunge alla sala del Mastio dove è visibile ancora la porta originale e dove è esposta una pala di Giovanni Santi, padre di Raffaello, la prima opera che il Santi firmò, sulla base del trono con il suo nome e con l’anno 1494. La Madonna con il Bambino in trono è circondata dai santi Lorenzo, Sofia, Michele Arcangelo e Giovanni Battista.

Madonna con il Bambino in trono

La pala proviene dalla locale pieve di Santa Sofia distrutta dal terremoto del 1916, è la stessa Santa a mostrare quella che rappresenta la più antica immagine del borgo e della rocca.

Santa Sofia con in mano l’immagine della Rocca e del Borgo

Dopo questa camera inizia una lunga teoria di sale, quelle visitabili sono 14, interamente arredate. Si inizia con la Sala di Sigismondo e Isotta che era, in origine, molto più piccola, poi furono unite più stanze una delle quali era una cappella. Notevole lo straordinario soffitto ligneo.
Sulle due pareti corte sono dipinti i volti di Sigismondo Pandolfo Malatesta e della sua amata moglie Isotta degli Atti, su una terza parete si trova il monosillabo di Sigismondo.

Monosillabo di Sigismondo Pandolfo Malatesta, ritratti di Sigismondo e Isotta

La sala della passione prende il nome dal fregio che la decora e che rappresenta la Passione di Cristo, tra le più piccole sale della Rocca fu decorata probabilmente in occasione delle nozze tra Giovanni Sforza, signore di Pesaro e Lucrezia Borgia, figlia di Papa Alessandro VI.

Deposizione dalla Croce.

Il camerino di Lucrezia Borgia, posto nel torrione di nord-est, aveva prima funzione militare poi venne adibito ad uso domestico come suggerisce la ricca decorazione delle pareti. Anche questo ambiente fu probabilmente decorato in occasione delle nozze di Giovanni e Lucrezia avvenute nel 1493.

Camerino di Lucrezia Borgia

La Camera del Leone Sforzesco risale al periodo sforzesco, la decorazione delle pareti raffigura il leone rampante e le ali di drago, sul soffitto si rincorrono onde, rami di cotogno e l’anello con la punta di diamante che rimandano a Giovanni Sforza.

Camera del Leone Sforzesco

Nella camera dei Putti, utilizzata dall’ultima proprietaria della Rocca, Alberta Porta, come camera da letto fino agli anni ’80 del 1900, troviamo una serie di rappresentazioni di bambini che giocano, forse fu realizzata per la nascita di Costanzo, figlio di Giovanni Sforza, avvenuta il 24 febbraio 1510.

Sala dei Putti

La grande sala, arredata con stalli provenienti da una chiesa, doveva rappresentare un’ipotetica sala del consiglio di un castello. Su una delle pareti è esposto il grande affresco che racconta la battaglia tra Romani e Sabini nel momento in cui intervengono le donne a fermare l’imminente massacro. L’affresco era posto prima sulla loggia esterna.

Sala del Consiglio

La Camera di Francesca, ispirata alla tragedia dannunziana Francesca da Rimini, ricrea la scenografia del dramma dal leggio che reggeva il galeotto libro alla botola da dove Paolo cercò di fuggire allo splendido abito copia di quello indossato da Eleonora Duse alla prima dell’opera.

Camera di Francesca

La Sala della Giustizia è l’ultima sala del piano di rappresentanza ed è così chiamata per il rilievo ligneo che rappresenta i sette arcangeli: in basso da sinistra Uriele con la spada fiammeggiante, Michele con la bilancia, Gabriele con lo scettro, Raffaele con il vaso di unguenti, in alto da sinistra Jehudiele con il flagello e la corona, Sealtiele orante e, probabilmente, Barachiele con il turibolo.

Rilievo ligneo – scultore tedesco – XV-XVI sec

Il loggiato era chiuso a formare delle stanze affrescate, affacciandosi è possibile avere una visione d’insieme del cortile d’onore.

Loggiato

Nella cappella, oltre alla decorazione del soffitto colpisce la meravigliosa terracotta invetriata di Andrea della Robbia. Al centro la Madonna con il bambino che si porta un ditino alla bocca quasi a raccomandare il silenzio, intorno i santi Ludovico di Tolosa, Caterina d’Alessandria, Maria Maddalena; nella predella San Francesco riceve le stigmate, L’Annunciazione, Santa Maria Egiziaca nel deserto

Madonna con Bambino e Santi – terracotta invetriata - Andrea Della Robbia

Soffitto e affresco nella cappella

Infine, ultima tappa è il corpo di guardia che doveva alloggiare i soldati di guardia alla Rocca. la scala a pioli collega la sala al piano nobile tramite la botola situata nella camera di Francesca.

Corpo di guardia

Fuori dalla Rocca si trova la Chiesa di San Giovanni Battista risalente al XIII secolo con un Crocifisso ligneo che presenta un’espressione diversa a seconda dalla posizione da cui si osserva.

Chiesa di S. Giovanni Battista

Crocifisso ligneo – XVI sec – Osservando la scultura da destra il volto del Cristo appare sofferente, dalla posizione centrale in agonia, da sinistra morto.

Costeggiando la cinta muraria c’è la bella passeggiata degli innamorati che offre ampi scorci delle serene colline che circondano il borgo. Durante il periodo estivo è possibile entrare al Teatro dell’aria, parco di educazione ambientale dedicato all’antica pratica della falconeria, 60 rapaci tra falconi, aquile, che si esibiscono in un affascinante spettacolo per far conoscere al numeroso pubblico questi meravigliosi volatili.

Torretta

A Gradara è presente anche un Museo Storico e Grotte Medievali con una raccolta di oggetti della civiltà contadina, strumenti di tortura e riproduzioni di armi. Nel sottosuolo sono presenti delle grotte scavate nel tufo e risalenti al Medioevo.

Museo storico

Quindi una visita a Gradara è un tuffo nel passato e nella storia, è arte e natura ma è anche buona cucina, molto legata ai prodotti della terra e del mare, ottimi vini e oggetti di artigianato locale il tutto offerto con cortesia e ospitalità dagli abitanti del borgo.

Alcuni dei piatti che si possono gustare nei vari ristoranti

Probabilmente la Rocca indicata come il luogo dove si consumò la tragedia di Paolo e Francesca non vide mai la fanciulla di Rimini, Gradara all’epoca era un avamposto militare quindi poco adatto ad accogliere una gran dama ma, passeggiando per le stradine, si nota come tutto parli degli sfortunati amanti. Le vie, i ristoranti, i negozi richiamano nel nome la storia di Paolo e Francesca con riferimenti continui a Dante e al canto V dell’Inferno. Fu proprio Dante Alighieri a far raccontare a Francesca stessa la storia del peccato commesso e della loro morte in un canto che è entrato nel novero delle raccolte di tragiche storie d’amore con in più la documentazione certa dell’esistenza dei due protagonisti.

Segnale stradale

Andiamo, quindi a conoscere i dati storici che sono arrivati fino a noi.
Guido da Polenta il Vecchio, signore di Rimini, per ringraziare Giovanni dei Malatesta (detto Gianciotto, Johannes Zoctus, Giovanni Zoppo) per l’aiuto che gli aveva permesso di cacciare i Traversari, suoi nemici, gli offre in sposa Francesca, la figlia quindicenne. Malatesta da Verucchio detto il Mastin Vecchio, padre di Gianciotto accetta l’unione e i due si sposano. Nel testamento del Mastin Vecchio si fa menzione di una Francesca madre di Concordia. Dal matrimonio nascono due figli, una femmina chiamata Concordia come la suocera e forse un maschio morto bambino.

Cortile d’onore visto dal Loggiato

Malatesta da Verrucchio aveva avuto numerosi figli dalle due mogli, dalla prima erano nati tra gli altri Giovanni il maggiore, Paolo detto il Bello e Malatestino, cieco da un occhio. Paolo fu da febbraio 1282 al febbraio 1283 Capitano del Popolo a Firenze con uno stipendio di 2000 fiorini, l’incarico veniva affidato solo a chi aveva compiuto 36 anni, quindi si presume che Paolo all’epoca avesse all’incirca quell’età, era sposato dal 1270 con Orabile Beatrice dei Conti Severi di Giaggiolo che gli aveva portato in dote la signoria della Contea di Giaggiolo e gli aveva dato due figli. C’è la possibilità, non supportata da documentazione, che Paolo a Firenze avesse conosciuto Dante. Di lui non si hanno più notizie dopo il ritorno da Firenze, non viene menzionato in nessun documento ufficiale, neanche nel testamento del padre e non si sa dove sia stato sepolto.

Cinta muraria

Malatestino che, secondo la leggenda, prese parte all’uccisione di Paolo e Francesca mettendo al corrente Gianciotto della tresca e spingendolo a fingere di partire per poi rientrare di nascosto e sorprendere così in fragrante i due adulteri, alla morte del padre divenne l’erede del Mastin Vecchio nella signoria di Rimini.

La Rocca

Poiché le cronache dell’epoca non riportano informazioni sulla vicenda di Paolo e Francesca la loro morte è tuttora avvolta da un velo di mistero, quello che noi sappiamo è quello che ci fa raccontare Dante dalla voce di Francesca, la vicenda fu ripresa dal Boccaccio che si dilungò sui particolari dell’inganno del matrimonio e sulle modalità dell’assassinio. Nella novella Boccaccio racconta di come Gianciotto tornasse a casa all’improvviso e recatosi nelle stanze della moglie trovò la porta chiusa a chiave, bussando furioso alla porta entrò appena l’uscio fu aperto mentre Paolo cercava di fuggire attraverso una botola nel pavimento ma il farsetto rimase impigliato in un chiodo, Francesca si parò davanti a lui per fermare il marito che stava per trapassarlo con la spada e rimase uccisa dopo di che Gianciotto, spostata la moglie, finì con la spada il fratello e lo fece seppellire in una tomba ignota.

La botola attraverso la quale Paolo tentò di fuggire

I personaggi quindi sono storicamente esistiti, di Gianciotto sappiamo anche che, poco tempo dopo la morte della moglie, si risposò con Zambrasina dei Zambrasi dalla quale ebbe 6 figli il che fece presumere che l’assassinio di Francesca venne fatto passare come delitto d’onore per camuffare il desiderio di Gianciotto di allearsi con la città di Faenza e sbarazzandosi di una moglie mai amata, sposata per ragioni politiche.

Torre dell’orologio

Dopo Dante e Boccaccio vi furono altri scrittori a riprendere la vicenda come Silvio Pellico e Gabriele d’Annunzio oltre a numerosi film, opere liriche e musical ma chi rese davvero immortali i due amanti furono i versi di Dante che, tra il 1318 e il 1321, anno della sua morte, fu ospite di Guido Novello da Polenta che aveva come nonno Guido da Polenta il Vecchio, padre di Francesca e come zia proprio Francesca. Tutti conoscono alcuni dei versi che raccontano la versione della bella riminese:

"Come colombe dal desio chiamate" si dirigono verso il nido così le due anime uscirono dalla schiera dei dannati e si avvicinarono a Dante disposte a parlare con lui commosse dalla sua cortesia;

Paolo e Francesca raffigurati da Guerrino Bardeggia

"Amor che a nullo amato amor perdona", dice Francesca dopo essersi presentata e aver raccontato di come si fossero innamorati perché Amore non permette che la persona amata non si innamori a sua volta di chi l’ama ed è un amore tanto forte che ancora la tiene avvinta

Camera di Francesca

"Amor condusse noi ad una morte", ma colui che spense le loro vite è atteso dalla Caina dove sono condannati i traditori dei parenti.

Camera di Francesca

"Galeotto fu quel libro e chi lo scrisse", Dante vuol sapere come l’amore da segreto e personale diventi condiviso e Francesca narra di come, mentre leggevano la storia di Lancillotto e di Ginevra, sposa di re Artù, più volte alzarono lo sguardo dal libro fino a che Paolo non la baciò tutto tremante e per quel giorno non andarono più avanti nella lettura.

Leggio

La pietà che caratterizza tutto il canto e avvolge le figure di Francesca e Paolo fu talmente intensa a quel punto che Dante si sentì svenire…
"E caddi come corpo morto cade."

Gradara

Ancora oggi, e sono passati 700 anni da quegli avvenimenti, non è ben chiaro come la figura di Francesca sia entrata così profondamente nell’immaginario collettivo, non si capisce come la figura di una moglie fredigrafa che tradisce il marito con il cognato in un connubio che all’epoca era considerato incestuoso sia diventata, nel corso dei secoli, una figura di donna che affascina ed incanta.

La Rocca di Gradara

Nelle parole che Dante fa pronunciare a Francesca, non a Paolo che tace per tutto il canto, non c’è la dichiarazione di aver voluto ribellarsi al destino che con l’inganno l’aveva voluta sposa di un uomo che non amava, si prende solo la soddisfazione di dire che chi li ha uccisi è atteso nel luogo dei traditori dei parenti, quindi non sono i due amanti a tradire ma Gianciotto, loro sono condannati per la lussuria, considerato un peccato, non per il tradimento e lei ripete più volte che fu l’amore a avvincerli in un rapporto che neanche la morte riesce a vincere tant’è che anche il vento che li trasporta li sospinge insieme.

Fossato intorno alla Rocca

Ecco, forse, a spiegare l’emozione che ogni volta coglie chi si trova ad ascoltare la storia di Francesca, è semplicemente il fatto che nei secoli si è cristallizzata l’idea di come l’amore possa essere più potente di ogni altro sentimento ed ogni volta che una donna, che afferma solo il diritto di essere libera, viene trucidata da un uomo, che si considera padrone e non compagno, è come se ancora e ancora e ancora sia la spada di Gianciotto ad affondare nel cuore di Francesca.

Tramonto

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